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Estrarre il litio dalle acque reflue, dagli Stati Uniti arriva un nuovo studio

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Condotto dall’Università di Pittsburgh e dal National Energy Technology Laboratory, lo studio (pubblicato su Scientific Reports) evidenzia come circa la metà del litio utilizzato negli Stati Uniti potrebbe provenire, sfruttandole appieno, dalle acque reflue generate dai giacimenti di shale gas distribuiti in Pennsylvania.

Potenziale di un tesoro nascosto

Il lito si estrae principalmente da due tipologie di giacimenti: acque salate (in Argentina, Bolivia e Cila) e rocce (in Australia). In particolare, le risorse numericamente più rilevanti sono quelle contenute nelle distese di sale del Sudamerica. Si parla dunque di “triangolo del litio”, poiché (come illustra il report Mineral Commodity Summaries 2021) il 60% delle risorse mondiali di questo minerale si concentrano lì.

Estrazione del litio che, Brian Menell, amministratore delegato di TechMet (fondo di investimento focalizzato sul comparto minerario, supportato dal governo statunitense), ha definito al Financial Times “un’evoluzione naturale per le compagnie petrolifere”. Sempre negli Usa, la Pennsylvania potrebbe estrarre il litio dalle acque reflue generate dai giacimenti di shale gas distribuiti sul territorio (mentre in Italia la nuova tecnologia sviluppata dall’azienda HBI sfrutta i fanghi provenienti dai trattamenti delle acque reflue, integrando carbonizzazione idrotermica e gassificazione).

Estrazione del litio dalle acque reflue

Ed eccoci alla nuova ricerca condotta dall’Università di Pittsburgh e dal National Energy Technology Laboratory e pubblicata su Scientific Reports. Il ricercatore Justin Mackey e il suo team hanno analizzato l’incredibile potenziale del litio proveniente dal giacimento di gas naturale Marcellus Shale, formazione rocciosa che si estende in tutto il nord-est degli Stati Uniti.

Ad oggi, circa il 95% dell’acqua estratta con il gas naturale dal Marcellus viene riciclata nelle operazioni di frantumazione idraulica in corso nell’area. Parliamo di un fluido ipersalino, contraddistinto da concentrazioni di solidi totali disciolti superiori a 100.000 mg/L, che prevede determinati trattamenti prima di essere reiniettato nei pozzi. Rispetto ad altre formazioni comparabili, il fluido in questione è ricco di litio; estrarlo dalle acque reflue dei pozzi in Pennsylvania potrebbe (secondo i ricercatori) soddisfare fino al 40% della domanda statunitense.

Il precedente della Caldera McDermitt

Fermo restando che in materia di idrogeno si è approfondita anche l’opportunità, grazie allo studio del Worcester Polytechnic Institute (WPI), in Massachusetts, di utilizzare l’urea delle acque reflue per produrre idrogeno, una recente novità ha destato particolare interesse. Nel dettaglio, Thomas Benson, Matthew Coble e John Dilles – un trio di vulcanologi e geologi della Lithium Americas, GNS Science e Oregon State University – hanno portato prove secondi cui la Caldera McDermitt, al confine tra il Nevada e l’Oregon, potrebbe accogliere il più grande deposito di litio noto al mondo.

Pubblicato su Science Advances, lo studio circoscrive l’origine attesta le potenzialità del deposito, che potrebbe contenere addirittura tra i 20 e i 40 milioni di tonnellate di litio (e, pertanto, bypassare quello della Bolivia, ritenuto il maggiore a livello globale con 23 milioni di tonnellate di litio). Una rivelazione non di poco conto, considerato che le stime parlano chiaro: entro il 2040 nel mondo ci sarà una richiesta di circa un milione di tonnellate di litio per soddisfare la domanda annua.

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