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Diesel rinnovabile? In Brasile da semi e olii con il metodo Ecofining

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Biocarburanti o e-fuel? I primi permettono di utilizzare materie prime di origine biogenica e di destinare, quindi, la CO2 emessa durante la combustione, al riassorbimento dalle colture da cui provengono. La licenza per impiegare la soluzione Ecofining – tecnologia proposta da Eni e Honeywell – per ottenere il cosidetto “diesel rinnovabile” da materiali di scarto vegetale è stata concessa di recente anche alla brasiliana Acelen, che prevede di raggiungere un volume di produzione di un miliardo di litri di SAF e diesel rinnovabile all’anno.

L’accordo di licenza Acelen-Honeywell

Grazie all’accordo di licenza siglato tra la brasiliana Acelen Renewables e la statunitense Honeywell International, saranno prodotti circa 20.000 barili di carburante “sostenibile” per l’aviazione (SAF) e diesel rinnovabile. La tecnologia per i combustibili rinnovabili Ecofining di Honeywell, sviluppato e realizzato in collaborazione  con il gruppo energetico italiano Eni, è un processo produttivo che impiega materie prime di origine biogenica per ricavare biocarburanti di alta qualità. Questo sistema consente, infatti, di trasformare oli e grassi di scarto in diesel rinnovabile e SAF. 

Che cos’è Ecofining

Si tratta di un metodo innovativo, esistente già dal 2013, applicato in Italia per convertire le raffinerie di Venezia e di Gela in bioraffinerie. Il processo può trattare diversi tipi di materie prime, trasformandole in biocarburanti che superano i limiti di quelli tradizionali come i FAME (Fatty Acid Methyl Esters). La tecnologia è costituita da due fasi: idrodeossigenazione, ovvero l’aggiunta di idrogeno con l’eliminazione di ossigeno, e successiva isomerizzazione, migliorando le proprietà a freddo del biocombustibile. Il prodotto finale è un Hydrogenated Vegetable Oil, che da gennaio 2023 Eni commercializza nelle stazioni di servizio con il marchio HVOlution. Il biocarburante HVO è utilizzabile anche in purezza nei motori diesel. 

Per il sito brasiliano semi non commestibili e oli usati

Attualmente la soluzione Ecofining è già stata concessa in licenza ad aziende come BP, CVR Energy, Diamond Green Diesel, Repsol, Total Energies e World Energy. Circa otto impianti sono già operativi e più di 40 impianti autorizzati diventeranno operativi entro il 2030. Nel caso specifico di Acelen, sarà integrata in uno stabilimento nello Stato brasiliano nordorientale di Bahia, utilizzando per la produzione dei biocarburanti, semi non commestibili e oli usati. L’obiettivo dell’azienda brasiliana consiste nel raggiungere un volume di produzione di un miliardo di litri di SAF e diesel rinnovabile all’anno.

I dubbi sulla sostenibilità del diesel rinnovabile

In Italia si raccolgono (informano i due Consorzi RenOils e Conoe) circa 80.000 tonnellate di Uco (oli alimentari usati e di frittura) da ristoranti e Comuni, meno di 50.000 dei quali viene venduto anche ad Eni per farne biodiesel. Quasi 400.000 vengono importate dalla Cina, ma a quanto pare il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica effettua controlli unicamente sulle certificazioni nazionali. Il rischio, dunque, è che venga inficiata la “purezza” di questi combustibili naturali, compatibili con la transizione energetica molto più dei cosidetti e-fuel. Questo perchè tutta la CO2 emessa durante la combustione del biodiesel (la dinamica generalmente contestata dagli ambientalisti) è destinata, in tempi brevi, ad essere riassorbita dalla coltura da cui proviene (colza, girasole, soia, ecc.). Il concetto di rinnovabilità è quindi legato al tempo medio di permanenza dell’anidride carbonica nell’atmosfera, ma indubbiamente anche alla provenienza, e soprattutto, alla composizione dell’olio di scarto.

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