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Perché l’idrogeno verde mette a rischio la transizione energetica

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Il combustibile “green” che negli ultimi mesi sta facendo tanto parlare, soprattutto in seguito al suo inserimento nella categoria delle fonti energetiche rinnovabili da parte dell’Unione Europea, crea più problemi di quanti si possano immaginare. Un noto think thank li ha riassunti in una lista.

Il rapporto Food & Water Watch sull’idrogeno verde

Sebbene sia noto ormai che la combustione di idrogeno verde (GH2), ossia quello prodotto con elettricità rinnovabile, sia ad emissioni zero, sono in molti ad esprimere perplessità in merito al suo utilizzo. Food & Water Watch, un’organizzazione No Profit che si occupa di temi legati al clima e all’ambiente, ha recentemente pubblicato un Rapporto che riassume alcune delle principali motivazioni che declassano questa risorsa, posizionandola agli ultimi posti nella lista delle fonti alternative disponibili.

I problemi connessi all’utilizzo dell’idrogeno verde 

Tra i problemi più popolari, c’è quello connesso alla sicurezza delle infrastrutture utilizzate per la produzione dell’idrogeno. Inoltre, quest’ultimo prolungando la vita delle infrastrutture del gas naturale, costituisce una seria distrazione dalle possibili alternative, vale a dire l’elettricità rinnovabile.

Rischi legati all’idrogeno miscelato

Per una questione di sicurezza, le infrastrutture esistenti convertite all’idrogeno possono supportare solo piccole quantità di idrogeno in “miscela”. Andare oltre il 20% di idrogeno è impresa ardua, in quanto le stesse condutture, per essere compatibili, dovrebbero cambiare. Questo significa che, a fronte di un utilizzo parziale della risorsa pulita, il beneficio per l’ambiente è minimo con una riduzione effimera delle emissioni, che diminuirebbero solo dal 6% al 7% (inoltre, l’idrogeno produce meno energia del gas naturale quando viene bruciato). 

I materiali in cui sono realizzati gasdotti e condutture

Sarebbe proibitivo sostituire migliaia di chilometri di gasdotti e più di 2 milioni di km di linee di distribuzione. La maggior parte delle condutture del gas e delle linee di servizio sono realizzate in plastica. Poiché l’idrogeno è una piccola molecola e richiede una pressione maggiore per muoversi rispetto al gas naturale, può fuoriuscire più facilmente attraverso le fessure delle pareti o i raccordi della tubazione. Nelle linee di trasmissione più lunghe realizzate in acciaio, invece, l’idrogeno può rendere il metallo più fragile e suscettibile a rotture.

Infiammabilità dell’idrogeno

Mentre per il gas è possibile utilizzare una particolare sostanza per renderlo identificabile e riconoscere, così, eventuali fughe, non è fisicamente possibile aggiungere “odori” all’idrogeno. Inoltre, l’idrogeno è 14 volte più infiammabile del gas, dato che un incendio può essere innescato dall’elettricità statica. Anche se questa fonte energetica non emette CO2 quando viene utilizzata, fuoriuscendo da un oleodotto causerebbe reazioni gravi nell’atmosfera, andando ad impattare sul riscaldamento globale.

Idrogeno nelle centrali elettriche

Molte utilities vorrebbero utilizzare l’idrogeno nelle centrali elettriche. Attualmente, per immagazzinare l’energia pulita generata durante il giorno (prevalentemente da pannelli solari), vengono utilizzati sistemi di accumulo, batterie in grado di stoccare l’energia solare, in modo che possa essere immessa in rete di notte. Tuttavia, lo stoccaggio in batteria per lunghi periodi non è un sistema economico. In teoria, l’idrogeno potrebbe essere utilizzato, a costi molto più bassi, per l’alimentazione di riserva quando non c’è abbastanza energia rinnovabile disponibile sulla rete. Il rischio, però, è di sprecare energia (circa il 30%) per l’elettrolisi a scapito delle altre energie rinnovabili. 

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